Ho in mente gli occhi vispi e luminosi della gente indiana, cosi accattivanti che ti predispongono al gioco e alla curiosità appena i tuoi piedi si appoggiano sul suolo di quel  colorato, tumultuoso e multiforme Paese.
Sprigionano velocità, arguzia, allegria, gli Indiani amano leggere la tua anima senza un giudizio, così, solo perché sei di fronte a loro e condividi un sedile di bus, un frullato all’angolo della strada, una corsa in rickshaw. La gioia.

La prima volta che andai in Cina, nel 1980, trovai occhi spenti, giovani demotivati e anziani svogliati che si aggiravano tra le rigide regole di un regime totalitario.
Andai molte e molte altre volte in Cina per scoprire chi c’era dietro a quegli occhi inespressivi.
Gente che sperimentava la propria vita, all’epoca in cui ancora non era sbocciato il commercio libero, nascosta nell’underground della superficie. Artisti che non potevano mostrare le loro opere, non potevano scrivere, leggere, confrontarsi tra loro, pena la prigione, tendenze sessuali considerate pericolose tanto che gli omosessuali dovevano inventarsi di essere pazzi di fronte al regime, pazzi buoni e innocui, cosi da non essere internati anche loro.
La paura.

E quando vissi a casa di gente musulmana, in Kashmir, India del Nord, per due mesi, sulle rive del Lago Dal a Srinagar mi imbattei nei severi occhi degli uomini della casa,  che sorvegliavano il comportamento di questa ragazza occidentale capitata lì per caso, relegandomi nella sala dove si ricevono gli ospiti.
Le donne lanciavano occhiate furtive e veloci, sfrecciavano per qualche istante, lontano da me, per appagare la loro curiosità.
Mi vestii con il loro abito, Kurta Salwar e misi il burka, il velo integrale,  per evitare di sentire le mani dei vogliosi uomini sulle mie chiappe mentre passeggiavo per il mercato.
Una strana sensazione di libertà mi appariva sotto quel velo integrale. Libertà di vedere e di non essere vista. Che paradosso.
Poi, un giorno, le porte del gineceo si aprirono per me, gli uomini avevano stabilito che potevo fare amicizia con le loro donne. Era passato un mese intero.
Venni assalita dalle matrone di casa, clan femminile con bambini al seguito. Ambienti separati da quelli maschili,  molto più divertente!
Fammi l’henne, che anelli porti, tieni in braccio il mio bambino, facciamoci il bagno insieme.
Un altro mondo fatto di sguardi attenti, stupiti, complici.
La differenza tra uomini e donne.

Tutte queste riflessioni mi riportano al nostro mondo occidentale fatto, oggi,  di “mascherine”.
Ci siamo sempre lamentati della mancanza di libertà delle donne musulmane ed ora siamo tutti nella stessa condizione: che interessante coincidenza!
Non siamo abituati, noi occidentali, a guardarci negli occhi.
Vado per le strade quasi deserte in paese o in città, addirittura nei boschi incontro quasi tutti con la mascherina, lo sguardo basso, furtivo, forse intriso di senso di colpa a scambiare un contatto visivo al posto di un sorriso.
Vedo le persone allontanarsi di un passo di lato, o uno indietro, una corsetta avanti a te, come se la sola vicinanza fosse contagiosa.
E anche l’assenza. Occhi assenti all’altro, occhi nascosti chissà dove e chissà perché.
Già prima del Covid non eravamo campioni di sguardi nella nostra vecchia Italia, per lo meno in quella del nord cui io appartengo: all’avvicinarsi spostavamo l’attenzione altrove pur di non incontrare gli occhi e la presenza dell’altro.
Ed ora ecco che abbiamo una vera scusa per dimenticare che gli occhi sono specchio dell’anima.

Mi colpirono gli occhi dei bimbi assorbiti dalla playstation quando il presentatore televisivo chiese loro di sollevare lo sguardo. Occhi vacui, occhi “altrove”, occhi persi, occhi assenti, inespressivi, imbevuti di milioni di immagini senza un senso.

Vogliamo seppellire la nostra anima dietro “una regola”, cosi da diventare automi e forse anche autistici nella nostra Vita?

Come mai non ci permettiamo di incontrarci  oltre la mascherina?
Ci spaventa forse parlarsi con gli occhi?
Gli occhi dell’altro ci entrano dentro? E  come? E tu, come guardi l’altro quando lo guardi?
Chi c’è dietro la mascherina?
Voglio scoprirlo o al solo pensiero mi ritraggo?
Ci vergogniamo a guardarci con la mascherina? E la mascherina che temiamo o l’incontro?

Domandiamoci qualcosa sullo sguardo: credo potremmo ritrovare quella connivenza, quello scambio che sta morendo adesso, nella fantomatica attesa che succeda qualcosa poi, qualcosa di bello che ci liberi dalla attuale  museruola.
Vivere nell’attesa di un domani 

La mia riflessione è: non aspettiamo nulla, viviamo ogni momento come fosse l’ultimo sguardo.