Esperienze Significative

intrecci di strade

Sono una viaggiatrice.

Ho viaggiato da sola, già in giovanissima età. Ricordo il mio primo viaggio. Destinazione Giappone.

Fujiama

 

 

Grazie a mia madre e al C.I.S.V. (Children International Summer Villages), un programma dell’UNESCO che promuove la pace tra i popoli, i bambini di undici nazionalità diverse si incontrano e fanno amicizia così da evitare che si generino idee razziste nel giovane animo. Avevo 10 anni.

Tra i 17 e i 20 anni vado ad abitare in Inghilterra, in Francia e in Svizzera e a 20 anni ecco nascere il viaggio che mi insegna a vivere: destinazione India.
Ci sono rimasta un anno ed è stato difficile lasciarla. Da allora vi sono tornata regolarmente, spesso in situazioni particolari come vivere con una famiglia musulmana in Kashmir o camminare fino al campo base dell’Everest.
L’Oriente è un richiamo profondo: mi reco per un anno in Indocina, passando sette intensi mesi in Tailandia, con il maestro Pichest Boonthomme.
Dal Laos arrivo fino al confine con lo Yunnan in Cina e vado a camminare per le valli tra le etnie locali, fermandomi con la gente dei villaggi perduti nella natura di un angolo nascosto di mondo, gente che vive quasi esclusivamente coltivando oppio.

L’amore per l’esplorazione mi porta in Ecuador, dove con un’amica scopriamo la foresta amazzonica: viviamo con una famiglia per 15 giorni a modo loro, camminiamo in alta quota sui vulcani della terraferma e navighiamo con una barchetta locale alla volta delle isole Galapagos onorando questo spettacolare incontro con la natura: i vulcani sommersi, gli animali, gli uccelli, i pesci, i delfini, le tartarughe.

Nel frattempo inizio un lavoro che mi porta a viaggiare e per trenta anni della mia vita faccio conoscenza di altri luoghi e di altri angoli del mondo.
Sono una delle prime accompagnatrici a condurre turisti in Cina nel 1980 e torno a lavorarci cento volte, assistendo passo passo ai grandi cambiamenti di una società appena uscita dal periodo maoista che muta come un tenace serpente, o forse come un grande drago, fino alle città futuristiche di oggi.

Vado molte volte in Tibet, in Nepal, nello Sri Lanka, in India, nello Yemen, in Marocco, in Egitto, in Sud Africa, in USA, in Canada, in Brasile, in Messico, in Australia.
Tutto ciò mi porta a studiare intensamente la storia, la cultura, l’arte, la filosofia di questi paesi e a immergere me stessa e le persone che accompagno nello stile di vita degli abitanti.

E’ meraviglioso capire come vive un popolo, il perché delle sue tradizioni e della sua storia, stare assieme alla gente apprendendo e rispettando le regole del luogo.
E’ divertente mangiare ciò che mangiano, spostarsi come si spostano, camminare per i sentieri dei parchi o delle alte vette.
Rimango estasiata di fronte a tanta bellezza e mi piace conoscere la gente fino a confondermi con loro.

La diversità è fonte di ricchezza interiore, vado contro-corrente, non mi piacciono i muri che si erigono tra paesi ed etnie, sono convinta che la dialettica, il confronto e l’amore siano armi potentissime.

 

 

Cosi ho imparato a vivere, apprezzare, gioire.

 Una grande lezione di vita: semplicità, umiltà e rispetto.

 

La musica e i concerti rock

Negli anni Ottanta e Novanta ho lavorato con svariate troupes americane per i primi grandi concerti rock approdati nel nostro Paese. Ho conosciuto alcuni grandi artisti: i Rolling Stones nel 1982, poi Madonna, Michael Jackson, David Bowie, Bruce Springsteen, Europe, Pink Floyd, U2.

Ho insegnato a Mick Jagger la famosa frase di apertura del concerto, sul palco di Torino, nel 1982: “Ciao Torino! Come stai?”, qualcuno se la ricorderà…

Stavo a fianco del management americano e mi occupavo di svariati settori: traduzioni, logistica e trasporti.

Lavorare con gli americani per l’organizzazione dei grandi concerti rock che arrivavano per la prima volta in Italia negli anni Ottanta è stata un’ importante esperienza di vita.

Grandi eventi che si formano dal nulla, l’organizzazione di settori più impensati che si intrecciano miracolosamente fino a generare un evento unico, di enorme portata, pieno di effetti speciali.
Ci vogliono anche tre settimane di lavoro intensissimo per montare un palco, ma quando si arriva al sound check (prove del suono) si è a buon punto. Poi le porte dello stadio si aprono ed entra il pubblico.

Momento stupendo. L’attesa, quel tempo di sospensione dell’arrivo della star, il pubblico che urla e poi musica…e lo spettacolo inizia. Eccitante e grottesco insieme.

Dopo: il vuoto

Il post-concerto mostra il campo dello stadio come alla fine di una guerra, il silenzio spettrale in piena notte di un tappeto d’erba coperto di ogni genere di rifiuti, i turni che ricominciano sotto i riflettori per smontare, l’aria piena di musica si tramuta in uno spazio assente, sospeso. La stanchezza si fa avanti, l’adrenalina cala, ma si lavora ancora tutta la notte e per altri giorni ancora, finché i camion non sono carichi e possono ripartire per un altro Paese, per un altro concerto, per un altro incontro di vita.

Una lezione
gli artisti più simpatici sono stati coloro che hanno messo a disposizione dello staff
il loro cuore e non solo la loro arte o il loro denaro
.

Una sorta di Yoga in Action

Una considerazione
 un giorno sono stata presente il giorno dell‘Indipendence Day a Washington.
Alla fine dell’evento, sul prato verde prima gremito di migliaia di persone, non c’era alcuna traccia di rifiuti

 


Olimpiadi

Un evento multirazziale che accomuna.
Un evento in cui le ore di lavoro non si contano.
Trovarsi li, con un greco, un filippino, una americana e un finlandese e un surfista dalle Hawai.
Razze che si incontrano per realizzare un evento
eccitante e unico.
Ognuno ha un lavoro e una vita a casa, ma si incontra in un luogo del mondo per un mese intero.
Organizzare un ufficio completo dal nulla. Locali spogli che devono essere allestiti al momento e devono funzionare con estrema efficienza.

 

Io mi sono occupata di logistica, manager di logistica di un sito di gara, per la Broadcasting Company, l’ente che riprende le Olimpiadi e mostra le immagini nel mondo. A Torino, Olimpiadi invernali nel 2006 curavo il cross country skying e a Pechino, Olimpiadi estive nel 2008, curavo il football.
Organizzare i turni di lavoro, i pasti, i turni di riposo, gli alloggiamenti, il cibo. Controllare che il sito sia funzionante come una vera casa.
Riuscire a uscire sul campo di gara e godersi la scena, dopo avere contribuito a crearla, è un evento nell’evento.
Le interviste subito dopo la gara, e poi i gadgets, gli sponsors.
Ma la grande gioia è l’incontro di persone di ogni parte del mondo, l’incontro di anime, di caratteri, di abitudini.
Una ricchezza inestimabile, che ad oggi, purtroppo diventa una fobia.

 

Un grande evento

Partire da zero, qualche dato e una data.
A volte occorre inventarsi un progetto intero. E poi si parte.
Cercare location, fornitori, servizi. Piano piano l’evento prende forma, montagne di carta e innumerevoli telefonate, l’adrenalina cresce di pari passo con la forma e la dimensione dell’avvenimento.
Incastri magici avvengono tramite computer e scrivanie per poi andare sul campo, installare, seguire, costruire, controllare e infine aprire le porte al pubblico.

 


Che meraviglia: una creazione.
Ci vuole molta determinazione, precisione e tempo.
Lo stress può arrivare ad alti livelli, le soddisfazioni anche.